I VIRTUOSI ITALIANI

Alberto Martini Maestro di Concerto al violino


L’evento

Il complesso de I VIRTUOSI ITALIANI, nato del 1989, è una delle formazioni più attive e qualificate nel panorama musicale italiano ed internazionale. Viene loro riconosciuta una particolare attitudine nel creare progetti sempre innovativi, una costante ricerca nei vari linguaggi, oltre all’eccellente qualità artistica dimostrata in anni di attività. Si sono esibiti per i più importanti teatri e per i principali enti musicali italiani e nelle più importanti sale del mondo  La loro attenzione e ricerca verso esecuzioni storicamente informate, li ha condotti a esibirsi nel repertorio barocco e classico anche su strumenti originali. 

Così scrive Enrico Girardi sul “Corriere della Sera”: «I Virtuosi Italiani sono un ensemble di assoluto valore. Affrontano il barocco, il classico e il contemporaneo non solo con disinvoltura, ma con una grinta, uno smalto e una “adrenalina” che produce vita e tensione senza portare oltre i limiti di una saggia pertinenza stilistica».

Programma musicale

Antonio Vivaldi
Sinfonia in sol maggiore per archi e basso continuo Il Coro delle Muse RV 149 
Allegro – Andante – Allegro assai

Antonio Vivaldi
Da L’Estro Armonico Opera III Concerto n. 9 in re maggiore per violino, archi e basso continuo RV 230 
Allegro – Larghetto – Allegro

Antonio Vivaldi
da La Stravaganza Opera IV, Concerto n. 1 in si bemolle per violino, archi e basso continuo maggiore RV 383a
Allegro – Largo e cantabile – Allegro

Antonio Vivaldi
Le Quattro Stagioni quattro concerti per violino, archi e basso continuo da Il Cimento dell’Armonia e dell’Invenzione op. VIII
Concerto n.1 in Mi maggiore La Primavera RV 269
Allegro, Largo, Allegro 

Concerto n.2 in sol minore L’Estate RV 315
Allegro non molto, Adagio, Presto  

Concerto n.3 in Fa maggiore L’Autunno RV 293
Allegro, Adagio molto, Allegro

Concerto n.4 in fa minore L’Inverno RV 297
Allegro non molto, Largo, Allegro

Note di sala

«La musica eccezionale è quella degli Ospedali dove le “putte” cantano come gli angeli e suonano il violino, l’organo, l’oboe, il violoncello, il fagotto; insomma non c’è strumento che le spaventi.»

L’opera di Vivaldi contribuì significativamente allo sviluppo del concerto, soprattutto solistico e della tecnica del violino e dell’orchestrazione. Nonostante la grande popolarità che subito raggiunse in tutta Europa, solo una piccola parte dell’imponente produzione concertistica vivaldiana venne data alle stampe durante la sua vita. 
Il manoscritto dei Concerti con molti Instrumenti suonati dalle Figlie del Pio Ospedale della Pietà avanti Sua Altezza Reale il Serenìssimo Federico Chrìstiano… (donato al Principe come ricordo) comprende anche Sinfonia per archi in sol maggiore RV 149 “Il Coro delle Muse”. Una pagina brillante che ben si addice a quell’occasione festosa e da cui traspare una vitalità ancora assolutamente integra, nonostante l’età del compositore.
L’Allegro iniziale, mancando il solista, è giocato interamente sui diversi spessori dell’ensemble orchestrale in una continua variazione delle dinamicità sonore. Di carattere “spiritoso” è invece il secondo tempo, un Andante costruito sulla divisione in due dei violini che da una parte, con l’archetto, cantano la melodia e dall’altra accompagnano in pizzicato. La chiusura è affidata ancora ad un Allegro travolgente, in una conclusione quasi “teatrale” da gran finale prima della calata del sipario.

“L’ESTRO ARMONICO” è una raccolta di dodici concerti opera III di Antonio Vivaldi. La strumentazione è di orchestra d’archi e un violino solista in 4 concerti, 2 violini solisti in altri 4 (2 di questi anche col violoncello) e altri 4 concerti per 4 violini solisti (anche in questo caso 2 concerti anche con il violoncello). 
Il titolo dell’opera è un ossimoro che vuole evidenziare la ricerca del perfetto punto di equilibrio fra due esigenze opposte: da un lato l’estro, cioè la pura fantasia che si scatena in totale libertà, e dall’altro gli stretti vincoli matematici dettati dalle regole dell’armonia. 
Questi concerti ebbero uno strepitoso successo in tutta Europa e, grazie ad essi, il “Prete Rosso” fu per qualche anno il compositore più rinomato. Segnarono il passaggio dal concerto grosso al concerto solistico. Il musicologo Alfred Einstein a proposito di un passaggio del terzo movimento del concerto numero 8 scrisse: “è come se in una sala barocca porte e finestre si spalancassero all’improvviso e si respirasse una ventata d’aria fresca”. Lo studioso vivaldiano Michael Talbot si spinse al punto di affermare che questi lavori sono “forse la più influente raccolta di musica strumentale apparsa nell’intero diciottesimo secolo”.
L’opera 3 fu pubblicata ad Amsterdam da Estienne Roger presumibilmente nel 1711. Roger, infatti, non includeva la data di pubblicazione, ma solo un numero d’ordine e inoltre riciclava i numeri di opere esaurite, come sembra sia capitato anche all’Estro Armonico. La sua uscita fu pubblicizzata con un annuncio sul The Post Man di Londra. 
L’opera fu ripubblicata in modo non autorizzato da John Walsh a Londra e a Parigi, con l’improbabile titolo “Les Troarmonico”. 

“LA STRAVAGANZA” è il titolo di una raccolta di dodici concerti composti tra il 1712 e il 1713, pubblicati per la prima volta nel 1716 da Estienne Roger ad Amsterdam, come opus IV, e dedicati a un nobile veneziano, Vettor Delfino. Nell’intestazione originale, la dedica riporta il seguente testo: «Concerti consacrati a Sua Eccellenza il Signor Vettor Delfino, nobile veneto, da Don Antonio Vivaldi, Musico di Violino, e Maestro de Concerti del Pio Ospitale della Pietà di Venetia.»
I dodici concerti op. 4 conosciuti con il nome di “La Stravaganza” furono citati per la prima volta come raccolta di “Concerti a Quattro” nella Prefazione de “L’Estro Armonico” op. 3. La loro pubblicazione dovette attendere fino al 1716, quando Estienne Roger li pubblicò ad Amsterdam in due volumi di sei concerti ciascuno. Tuttavia, a differenza dell’annuncio originale, “La Stravaganza” è più di una raccolta di concerti per violino solo con accompagnamento d’archi: in cinque concerti il solista è affiancato da un secondo violino solista o addirittura da un violoncello solista (Concerto n. 7).
Le numerose ristampe de “La Stravaganza” testimoniano la sua popolarità e ampia diffusione fino agli anni Trenta del Settecento. Oltre alle stampe sopravvissute, esiste un corpus significativo di fonti manoscritte contenenti versioni alternative di sette concerti. Alcuni di questi manoscritti provengono dalla biblioteca musicale di Johann Georg Pisendel.
La raccolta ha la stessa struttura delle altre due che hanno dato un’impronta fondamentale alla produzione vivaldiana. Si tratta delle celeberrime “Il Cimento dell’Armonia e dell’Inventione” Opera 8 e “L’Estro Armonico” Opera 3, entrambe più famose della presente opera). Come nelle altre due raccolte, ciascuno dei dodici concerti della Stravaganza dura una decina di minuti. 

“IL CIMENTO DELL’ARMONIA E DELL’INVENTIONE” (Opera VIII) contiene dodici concerti per violino e archi, composti da Antonio Vivaldi tra il 1723 e il 1725. 
Iniziamo dal titolo, veramente bello, che mette in risalto la voglia di Vivaldi di comporre delle melodie armoniose, ma anche di sperimentare nuove strade compositive. Al suo interno troviamo nei primi quattro concerti, “Le quattro stagioni”, che sono tra le musiche più conosciute in assoluto del repertorio classico. Come spesso accade quando ci sono dei brani molto famosi, il rischio è che vengano messi in ombra gli altri, che non sono assolutamente da meno e meritano di essere ascoltati alla stessa stregua. Non solo, meglio non snobbare neanche “Le quattro stagioni”, che è vero le ascoltiamo spesso, ma a brandelli da spezzoni televisivi, o da orride suonerie su smartphone, omogenizzate ad uso e consumo di chi le trasmette, ma non di chi le riceve. Meglio quindi fare un passo indietro e ascoltare con attenzione nella versione adeguata proposta da I VIRTUOSI ITALIANI i concerti qui presenti. 

È incredibile pensare che Vivaldi fu dimenticato per decenni e riscoperto solo agli inizi del XX secolo, grazie alle ricerche dello studioso francese Marc Pincherle e in seguito di Alfredo Casella. Vivaldi è anche poeta, ed infatti scrive alcuni sonetti per descrivere con parole le quattro stagioni, che possono essere considerate una guida per seguire l’ascolto dei concerti. “Le quattro stagioni” infatti fanno parte di sette dei dodici concerti cui proposti, che sono stati composti “a programma”. Con la scelta del nome, Vivaldi voleva riferirsi al piacere che egli provava nello sperimentare – soprattutto nella sovrapposizione della forma del ritornello e dell’elemento programmatico – l’idea presente soprattutto nei concerti n. 5, 6 e 10. Questo significa che il loro ascolto, attraverso l’utilizzo degli strumenti, descrive una scena, che spesso è la descrizione di eventi naturali. I sette concerti di questo tipo sono quelli con un titolo: “La tempesta di mare”, RV 253, “Il piacere”, RV 180, “La caccia”, RV 362.

FAQ

I parcheggi sono consultabili in questa pagina.

E’ disponibile il servizio navetta gratuito per gli eventi nel centro storico.
Info e orari in questa pagina.


Xenia Pappa Voce
Max Costa Chitarra
Michele Zappoli Basso
Lorenzo Cappelletti Batteria


L’evento

Una narrazione, non solo autobiografica, è ciò che il progetto pop/rock Late Bloom promette di portare in scena.

Il nome è ispirato da due elementi: il mese di novembre (in cui Xenia è nata), il cui fiore caratteristico, il crisantemo, è a fioritura tardiva; il fatto che Xenia stessa è considerata una “late bloomer”.

È diventata una cantante professionista più tardi nella vita: dopo un primo percorso professionale in ingegneria ambientale, ha iniziato gli studi universitari in canto e scrittura solo dopo essere diventata madre.

Le canzoni sono arrabbiate, amare e dispiaciute, avvolte in melodie melanconiche ed esplosive. Un tentativo di rompere gli schemi e di vivere la vita come ha sempre desiderato ed essere libera da ogni pregiudizio ed etichetta.Un progetto, Late Bloom, che aspira ad essere la voce delle madri che hanno abbandonato i propri sogni, dedicato alle donne che sono state domate e plasmate dagli altri.

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Xenia Pappa Voce
Max Costa Chitarra
Michele Zappoli Basso
Lorenzo Cappelletti Batteria


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Una narrazione, non solo autobiografica, è ciò che il progetto pop/rock Late Bloom promette di portare in scena.

Il nome è ispirato da due elementi: il mese di novembre (in cui Xenia è nata), il cui fiore caratteristico, il crisantemo, è a fioritura tardiva; il fatto che Xenia stessa è considerata una “late bloomer”.

È diventata una cantante professionista più tardi nella vita: dopo un primo percorso professionale in ingegneria ambientale, ha iniziato gli studi universitari in canto e scrittura solo dopo essere diventata madre.

Le canzoni sono arrabbiate, amare e dispiaciute, avvolte in melodie melanconiche ed esplosive. Un tentativo di rompere gli schemi e di vivere la vita come ha sempre desiderato ed essere libera da ogni pregiudizio ed etichetta.Un progetto, Late Bloom, che aspira ad essere la voce delle madri che hanno abbandonato i propri sogni, dedicato alle donne che sono state domate e plasmate dagli altri.

Entroterre Festival fa parte di Bologna Estate 2024, il cartellone di attività promosso e coordinato dal Comune di Bologna e dalla Città Metropolitana di Bologna – Territorio Turistico Bologna-Modena.

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L’evento

Nel 1929 lo scrittore ungherese Frigyes Karinthy ha immaginato una teoria secondo la quale si può unire chiunque con chiunque altro su questo pianeta con una catena al massimo di sei conoscenze. Sei Gradi è diventato uno spettacolo teatrale del 1990, un film, 6 gradi di separazione di Fred Schepisi del 1993 e un programma di Radio3 Rai a cura di Luca Damiani in cui attraverso una serie di legami e di punti in comune si fanno dialogare musiche e musicisti lontani nel tempo, nello spazio e nei generi.

In Entroterre Festival, Sei Gradi diventa un format live di dialogo – delle interviste travestite da concerto – con musicisti e il loro repertorio, sia originale che non, scandito da sette legami. Luca Damiani, direttore artistico del Festival, conduce le interviste.

Al Festival dei Borghi, il 7 luglio, alle parole e alla musica, si aggiungono i disegni di Ernesto Bassignano e il racconto di una vita immediatamente consacrata alla musica e all’arte e consapevolmente dedicata alla lotta popolare. Dall’amicizia con Francesco De Gregori all’impegno politico, il teatro e la televisione, che insieme hanno forgiato una mente brillante, attenta e sensibile ai cambiamenti del mondo. Il suo ultimo album Siamo il nostro tempo, uscito nel 2023, conferma quanto la sua straordinaria capacità di raccontare il presente sia più che mai viva e arguta. Un artista ancora oggi unico e necessario.

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Orchestrona della Scuola di Musica Popolare di Forlimpopoli


L’evento

Walzer e Mazurke Francesi, Scottish, Gighe e Tarantelle, Rondeau, Chappeloise, Manfrine e vecchio Liscio emiliano-romagnolo compongono un repertorio che l’Orchestrona, grazie agli arrangiamenti del M° Castiglia, personalizza e ripropone appassionatamente per offrire ai ballerini popolari e anche a chi semplicemente vuole ascoltare, una serie di brani che facciano muovere i piedi ed il cuore.

L’Orchestrona della Scuola di Musica Popolare di Forlimpopoli è un progetto che nasce oltre una ventina di anni fa da un’idea di Davide Castiglia, oggi direttore dell’ensemble, e che incarna in se molti degli aspetti e delle finalità proprie alla Scuola Forlimpopolese.

Si tratta di una formazione assolutamente atipica, una commistione ben riuscita tra una banda e un’orchestra che non è in realtà nessuna delle due e che, negli ultimi anni, si è trasformata, nella struttura e nel repertorio, fino a diventare  una straordinaria macchina da ballo folk.

Nell’organico, assolutamente intergenerazionale, adolescenti, adulti ed ultrasettantenni, maestri, allievi ed ex allievi della Scuola, condividono un progetto musicale dove fisarmoniche, violini, violoncelli, contrabbassi, cornamuse, flauti, mandolini, chitarre e percussioni contribuiscono a costruire un repertorio scelto fra i migliori brani da ballo e d’ascolto della musica  popolare europea.

Un corso di musica d’insieme, una vetrina degli strumenti insegnati nella ormai ultra trentennale Istituzione Forlimpopolese, il gruppo di rappresentanza della Scuola di musica popolare, un modello di condivisione: L’Orchestrona è e vuole essere tutto questo per farsi ambasciatrice della bellezza e della ricchezza delle musiche, degli strumenti e dei repertori di tradizione popolare.

Segue colazione, inclusa nel biglietto.

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Orchestrona della Scuola di Musica Popolare di Forlimpopoli


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Walzer e Mazurke Francesi, Scottish, Gighe e Tarantelle, Rondeau, Chappeloise, Manfrine e vecchio Liscio emiliano-romagnolo compongono un repertorio che l’Orchestrona, grazie agli arrangiamenti del M° Castiglia, personalizza e ripropone appassionatamente per offrire ai ballerini popolari e anche a chi semplicemente vuole ascoltare, una serie di brani che facciano muovere i piedi ed il cuore.

L’Orchestrona della Scuola di Musica Popolare di Forlimpopoli è un progetto che nasce oltre una ventina di anni fa da un’idea di Davide Castiglia, oggi direttore dell’ensemble, e che incarna in sé molti degli aspetti e delle finalità proprie alla Scuola Forlimpopolese.

Si tratta di una formazione assolutamente atipica, una commistione ben riuscita tra una banda e un’orchestra che non è in realtà nessuna delle due e che, negli ultimi anni, si è trasformata, nella struttura e nel repertorio, fino a diventare  una straordinaria macchina da ballo folk.

Nell’organico, assolutamente intergenerazionale, adolescenti, adulti ed ultrasettantenni, maestri, allievi ed ex allievi della Scuola, condividono un progetto musicale dove fisarmoniche, violini, violoncelli, contrabbassi, cornamuse, flauti, mandolini, chitarre e percussioni contribuiscono a costruire un repertorio scelto fra i migliori brani da ballo e d’ascolto della musica  popolare europea.

Un corso di musica d’insieme, una vetrina degli strumenti insegnati nella ormai ultra trentennale Istituzione Forlimpopolese, il gruppo di rappresentanza della Scuola di musica popolare, un modello di condivisione: L’Orchestrona è e vuole essere tutto questo per farsi ambasciatrice della bellezza e della ricchezza delle musiche, degli strumenti e dei repertori di tradizione popolare.

Segue colazione, inclusa nel biglietto.

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Info e orari in questa pagina.

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Nel 1929 lo scrittore ungherese Frigyes Karinthy ha immaginato una teoria secondo la quale si può unire chiunque con chiunque altro su questo pianeta con una catena al massimo di sei conoscenze.
Sei Gradi è diventato uno spettacolo teatrale del 1990, un film, 6 gradi di separazione di Fred Schepisi del 1993 e un programma di Radio3 Rai a cura di Luca Damiani in cui attraverso una serie di legami e di punti in comune si fanno dialogare musiche e musicisti lontani nel tempo, nello spazio e nei generi.
In Entroterre Festival, Sei Gradi diventa un format live di dialogo – delle interviste travestite da concerto – con musicisti e il loro repertorio, sia originale che non, scandito da sette legami. Luca Damiani, direttore artistico del Festival, conduce le interviste.

Protagonista del secondo incontro, in occasione del Festival dei Borghi, è il pianista Carlo Negroni.
La sua musica ormai da molto tempo è la confluenza di profili e sensazioni del Vecchio e Nuovo Mondo, libera da diktat mal vissuti, sempre pronto a mettersi in gioco ed in questo gioco l’improvvisazione convive, prende e dà ossigeno alla composizione. La musica di queste composizioni è un magma che durante i concerti si trasforma e si profila volta per volta nell’esperienza che vive Carlo Negroni e il suo pubblico.

FAQ

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Ideato e diretto da
Riccardo Tesi e Claudio Carboni

Riccardo Tesi Organetto diatonico
Claudio Carboni Sax
Nico Gori Clarinetto
Maurizio Geri Chitarra e Voce
Roberto Bartoli Contrabbasso
Massimo Tagliata Pianoforte e Fisarmonica
Gianluca Nanni Percussioni
Quartetto d’archi Alborada


L’evento

Un ballo liscio, il nuovo progetto di Riccardo Tesi e Claudio Carboni, ci riporta alle origini della riscoperta del repertorio strumentale del liscio italiano. Un genere che può vantare una popolarità in Italia pari solo all’incertezza della sua paternità, ma – per così dire – anche della sua maternità: se frutto di una contaminazione da parte della musica da ballo francese a seguito delle invasioni napoleoniche, o alla diffusione nel Nord Italia, in ambito borghese, e poi popolare, dei generi austroungarici della Polka e del Walzer, non è dato sapere.

Questa è anche la storia del molteplice intrecciarsi di processi, sociali e culturali che ha visto inediti protagonisti entrare in scena: braccianti, contadini, artigiani, il proletariato associato alla cooperazione, commercianti, musicisti esclusi dal circuito professionale o musicisti da banda particolarmente attivi nel “fuori servizio” (liturgico). Una storia che il radicamento della cultura musicale popular, la diffusione di pratiche musicali trasferite di generazione in generazione, ha permesso, nel corso della seconda parte del secolo scorso, di sfociare in un importante fenomeno discografico nazionale.

Protagonisti di questo viaggio attraverso un secolo di storia del ballo popolare italiano per eccellenza sono lo stesso Riccardo Tesi all’ organetto diatonico e Claudio Carboni, al sassofono, con Nico Gori, clarinetto, Maurizio Geri, chitarra e voce, Roberto Bartoli, contrabbasso, Massimo Tagliata, pianoforte e fisarmonica, Gianluca Nanni: percussioni e con il Quartetto d’archi Alborada. Un’orchestra multiculturale, composta da alcuni dei musicisti più rappresentativi della scena etnica, classica e jazz, rivisita, con rigore e spregiudicatezza, le melodie e i ritmi che hanno fatto danzare intere generazioni di italiani.

Un’occasione per riscoprire il suggestivo impianto melodico, il virtuosismo strumentale, le affascinanti combinazioni timbriche e gli aspetti più celati e seducenti di un genere musicale immeritatamente sottostimato.

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Nel 1929 lo scrittore ungherese Frigyes Karinthy ha immaginato una teoria secondo la quale si può unire chiunque con chiunque altro su questo pianeta con una catena al massimo di sei conoscenze.
Sei Gradi è diventato uno spettacolo teatrale del 1990, un film, 6 gradi di separazione di Fred Schepisi del 1993 e un programma di Radio3 Rai a cura di Luca Damiani in cui attraverso una serie di legami e di punti in comune si fanno dialogare musiche e musicisti lontani nel tempo, nello spazio e nei generi.
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Il 5 luglio al Festival dei Borghi si inizia dall’incontro con Carlo Maver, uno dei pochissimi musicisti al mondo ad essere stato allievo del grande bandoneonista argentino Dino Saluzzi. Il programma musicale della serata è ispirato al suo ultimo album, Solenne, uscito a marzo per Visage Music, realizzato con il contributo di Bologna Città della Musica e Comune di Bologna. L’album è l’approdo di un lungo percorso musicale e geografico che ha visto Maver suonare con formazioni di vario tipo in luoghi come il Kurdistan, il Mali, il deserto del Sahara, l’Uzbekistan, il Turkmenistan, la Turchia e l’Indonesia.

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L’evento

Se con il tour autunnale Con i tasti che ci abbiamo – che ha portato in teatro le Tredici canzoni urgenti – toccare certi tasti è sembrato necessario per rispondere a certe urgenze che l’attualità imponeva, tanto più necessario sarà toccare Altri tasti ora che quelle criticità non si sono diradate e che nuove urgenze sembrano aggiungersi alle vecchie, adombrando anche l’orizzonte estivo.

Prosecuzione naturale dei concerti urgenti dei mesi trascorsi, Altri tasti vuole perciò continuare a dare risalto pubblico alla parola, e con le parole e la musica comporre un concerto che ricomponga le schegge di un mondo che sembra andato in pezzi. Si offre così un discorso di critica del presente attraverso il quale riconoscere la possibilità nel limite e immaginare una prospettiva collettiva in cui ragione e sentimento si tengano sotto il sigillo della gratitudine per una vita riscattata dalla sua frammentarietà.

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